GIOVENTU’
Nel 1970 arrivò la patente, prima automobile fiat 500 di seconda mano, incominciarono ad arrivare catture importanti dal Sangro , dal Volturno e dal Tirino, iniziai a pescare in tutti i fiumi del centro Italia e qualcuno del nord, già in questo periodo qualsiasi pesce inferiore ai trentacinque centimetri non veniva considerato, e quindi sempre liberato.
Frequentavo molto il Tirino, fiume stupendo, imparai a pescare con la ninfa in profondità a vista, non c’era trota anche se incollata al fondo che non riuscissi a fregare, con dei Gammarus piccoli ma molto piombati, si facevano dei cestini enormi di trote autoctone (oggi ce ne sono rimaste poche).
Nel 1971-72 insieme ad una 126 nuova fiammante per me, arrivarono le prime canne in graffite, a Milano in un sol colpo comperai 2 Hmg di Fenwvik, una di 7 e 6 coda 4, una 8 piedi coda 5 e una Bruce & Welcher di 8 e 6 coda 3-4-5- per la ninfa, furono le prime di una serie in finita, acquistavo tutte le novità che provate reputavo valide.
Tirino (AQ) Fario 57cm | Sangro (AQ) Fario 46cm | Volturno (IS) Fario 44 cm e 35 cm |
Le attrezzature erano al top per l’epoca, non si poteva desiderare di più e anche i risultati erano notevoli.
In quel periodo iniziai a documentare le catture con foto.
Dal 1973 al 1975 oltre che approfondire ulteriormente le varie tecniche di pesca che usavo ( secca sommersa, ninfa, streamer), raggiungendo una notevole maestria, lavoravo molto nella costruzione degli artificiali, avevo già capito che ci sono due categorie di mosche, quelle per le dimostrazioni di costruzione, che sono fine a se stesse, dove la fantasia può essere sfrenata, e le mosche per la pesca, che devono rispettare delle regole abbastanza precise.
Questo punto è molto importante, le prime servono per catturare il pescatore, le seconde per prendere i pesci.
Per risparmiare soldi e materiali, bisogna imparare subito a distinguere le une dalle altre.
Passavo al morsetto tutto il tempo disponibile che avevo, ottenendo dei risultati veramente notevoli , inventando diversi tipi di montaggio, ancora oggi innovativi ed originali, ma soprattutto molto catturanti.
Non costruivo a caso, eseguivo un paio di prototipi dopo lunga ponderazione, seguendo il concetto dell’impressione , mai dell’imitazione esatta, rispettando rigorosamente dimensioni e toni generali del colore di ciò che volevo imitare.
Poi le testavo in pesca per più uscite relative al periodo di impiego, traendo le dovute conclusioni , se promosse iniziava la produzione per quelle che erano le mie necessità.
Sono assolutamente convinto che bisogna sempre, in ogni caso, offrire anche nelle mosche da caccia qualcosa di credibile.
Nella pesca con lo streamer cerco di rispettare questa regola, magari con più elasticità.
La mia pignoleria e precisione è proverbiale tra chi mi conosce, nulla è lasciato al caso quando si pesca.
Poi dal 1975 al 1985 gli spostamenti aumentarono in ampiezza , per me era normale in quel periodo partire da casa alle 2 di notte per essere poi alla mattina in val Sesia, o magari sul Piave, o Isonzo , oppure a sud in val d’Agri.
Partivo sempre da solo , ripensandoci oggi, avevo proprio un gran coraggio.
Percorrere anche mille e duecento chilometri in una giornata significava passare al volante tantissimo tempo, spesso più di dodici ore.
Ricordo ancora sul Piave, a caccia delle prime trote marmorate della mia vita.
Arrivato nella zona prescelta a valle della diga di Busche, scelsi un punto a caso e scesi al fiume, eravamo in estate e i livelli erano molto bassi, feci una valutazione sulla tecnica da mettere in atto, decisi per la sommersa “pesante” come consigliava il grande RICCARDI in quelle condizioni (per me uno dei più grandi pescatori al mondo), con ciò intendo una ninfa piombata sull’amo del sei come prima mosca, uno spider sull’amo dell’otto come seconda.
Mentre preparavo la montatura l’occhio mi cadde su dei pali conficcati, non so a quale scopo, proprio nel bel mezzo della corrente per effetto della medesima avevano accumulato molti detriti.
Non mi poteva capitare niente di meglio, faccio la prima passata ad un metro dal groviglio, non successe nulla, la seconda a cinquanta centimetri idem, alla terza raschiai letteralmente i rami, pensavo che l’incaglio era assicurato, vidi tendere la coda, ferrai poco convinto ero sicuro di aver agganciato un ramo , ma la successiva trazione del pesce mi fece balzare il cuore in gola.
Non so per quale motivo, anziché cercare di rintanarsi si diresse verso un tratto sgombro da ostacoli, non ci fu grande battaglia la tirai senza problemi a riva, che spettacolo di trota!
Non tanto per la taglia, ma per la sua livrea particolare, per me mai vista prima se non in fotografia.
Misurava quarantotto centimetri, nello stesso luogo ne presi un’altra sui quaranta.
Praticamente la pescata fini lì, erano le dieci e mezza.
Passai il resto della giornata ispezionando il fiume, per quel giorno non potevo chiedere di più.
Ne presi molte altre di marmorate, ma queste due non le ho mai dimenticate.
Voglio raccontarvi un altro episodio, non per il fatto in se, ma per l’insegnamento che si può trarre.
In quel periodo avevo la consuetudine, qualsiasi tipo di pesca effettuavo al di fuori dello streamer, di tenerne sempre uno nel porta mosche di montone a cui ero particolarmente affezionato, in più occasioni mi aveva reso degli ottimi servigi.
Non lo sostituivo mai per scaramanzia(era il mio portafortuna).
In un tardo pomeriggio d’estate eravamo lungo le rive dell’Isonzo a meta strada tra Gorizia e Gradisca, erano circa le diciotto, faceva ancora caldo, mia moglie sdraiata sul ghiaieto stava prendendo l’ultimo sole del pomeriggio, io non mi decidevo a mettere gli stivaloni, aspettavo che l’aria rinfrescasse, di temoli neanche l’ombra.
Nel centro della corrente proprio davanti a dove ci trovavamo c’èra una fila di massi lunga una quindicina di metri, troppo regolari per essere naturali, o forse lo erano!
Fatto sta che ad un certo punto a metà strada tra questi e me, vidi schizzare in aria un nugolo di pesciolini, mi alzai rapidamente avevo intuito la cacciata di una marmorata, mi avvicinai all’acqua, nella foga mi arrivò ad un metro , sono convinto che mi vide.
Misi il cuore in pace, non avevo l’attrezzatura adatta, sarà stata lunga perlomeno ottanta centimetri, forse di più, ed io non avevo che una ridicola canna di otto e mezzo per coda due.
Non passarono venti minuti che ripeté la cacciata, sempre nello stesso luogo, non speravo proprio che potesse succedere, certo che non c è due senza tre , mi precipitai ad indossare gli stivaloni, nello stesso momento tranciai con i denti il trafilato conico dove ritenevo potesse essere perlomeno un venticinque, a cui legai l’unico streamer che avevo.
Dopo venti minuti, uscì di nuovo, la anticipai lanciando dove sapevo si sarebbe diretta, nell’attimo che giunse in zona strippai sull’imitazione, lo prese subito, quando sono grosse d’avvero, bisogna avere il sangue freddo di ritardare la ferrata, “ c’èra “.
Cercò di riguadagnare la massicciata, riuscii con molta fatica a frenarla , dissi a mia moglie che nel frattempo si era alzata in piedi, di correre e mettersi tra la trota e la massicciata, sguazzando nell’acqua ci riuscì, si posizionò dove in modo concitato le indicavo, la giostrai per alti dieci minuti in acque libere da ostacoli , era lei che dominava la situazione, non potevo che sperare ed augurarmi che si stancasse presto.
Tutto ad un tratto mi si raddrizzò la canna in mano, ci fu un momento di sgomento.
Ma che cosa era successo?
Ritirai la lenza accorgendomi che si era schiantato l’amo a meta del corpo, ad un’ulteriore indagine venne fuori che sotto l’amo si era arrugginito e quindi indebolito, poteva essere intuibile, ma io non ci arrivai, cosa si poteva pretendere da uno streamer che avrà avuto più di dieci anni?
Così persi una delle più belle trote che mi fosse mai capitata.
Quale insegnamento si può trarre da questo episodio?
Primo non lasciare mai che le mosche si invecchino troppo, soprattutto quando si caccia grosso, secondo un compagno di pesca può essere di notevole aiuto, oltre che per la sicurezza, anche per riuscire a tirarle fuori certe trote.
Fiume Isonzo (GO). Il luogo dove successe il fattaccio |
Non dormii mai sugli allori, la continua ricerca di miglioramento sia nella tecnica che nell’attrezzatura, mi portò ad effettuare diversi esperimenti, soprattutto sulle canne, ne avevo cosi tante che non usavo più, sacrificarne qualcuna non sarebbe stato un problema.
Solo un pazzo come me poteva pensare di mettere in atto ciò che avevo in mente.
In quel periodo le canne in graffite come azione cercavano di imitare il refendù, e quindi avevano le pareti molto spesse per avere più massa, la loro azione parabolica era molto spostata verso l’impugnatura da renderle comunque molto lente.
Mi resi conto che togliendo materiale all’esterno soprattutto sul cimino, non solo si alleggerivano ma divenivano anche più rigide e veloci.
Praticamente flettevano meno sotto il peso di se stesse, riuscivano a trasferire più energia e velocità alle code di topo.
Nel fare questo non ne rovinai nessuna, un paio venute particolarmente bene le uso ancora oggi normalmente.
Le canne sono stata la mia fissazione da sempre, mi piaceva averne di nuove, e per risparmiare me le montavo quasi tutte.
Anche in questo campo feci molte sperimentazioni, soprattutto cercai di montare su talloni rigidi cimini morbidi, cercando quella che oggi si chiama azione progressiva.
Anche qui riuscii ad avere successo, la mia testardaggine e perseveranza mi premiò, facendomi ottenere ciò che volevo.
Tutte queste esperienze mi permisero di acquisire una capacità obbiettiva nella valutazione delle varie azioni, argomento assai controverso ancora oggi.
Nel successivo decennio 1975-1985 la curiosità e la voglia di sperimentazione era forte, mi misi alla prova ulteriormente, proprio nell’assemblaggio delle canne.
Contattai tutti pescatori con la mosca che conoscevo, chiedendo loro se avevano canne rotte, cosi feci anche con diversi commercianti, calibro alla mano iniziai a fare varie misurazioni per cercare di tirarci fuori una quattro pezzi con azione progressiva centrale.
Feci gli spigot inserendo un pezzo di graffite dentro l’altro, rinforzandoli ulteriormente all’interno con fibra di vetro piena (se necessario), tagliai i pezzi di canna prescelti e inserii gli innesti e li adattai a mano assemblando il tutto con colla bi componente.
Facile a dirsi, ma ci vollero alcune settimane per realizzarla, il risultato fu ottimo.
La lunghezza non la potevo scegliere, era la conseguenza dei pezzi che avevo.
Venne fuori una sette piedi e nove pollici, dall’azione progressiva per coda due- tre, ancora oggi non la scambierei con nessun’altra, tuttora fa parte della mia dotazione.
Ne costruii diverse, ma onestamente non vennero bene come la prima, comunque ugualmente ottime canne molto apprezzate anche dagli amici.
La prima vittima della mia nuova canna a 4 pezzi, da me assemblata |
Questa ulteriore esperienza arricchii ancora di più la mia capacità di valutare e comprendere cosa volevo da una canna da mosca per( pescare), che è molto diversa da quelle che servono per le dimostrazioni di lancio.
Questo argomento verrà trattato nel capitolo “CANNA E CODA MOTORI DEL LANCIO”.
Già in questo decennio le canne miglioravano in continuazione, si trovavano con una certa facilita in tutte le azioni , potenze, lunghezze che si potessero desiderare, quasi mai comunque chi a quei tempi comperava una canna lo faceva con cognizione di causa.
Purtroppo furono molti in quegli anni che si trovarono in mano dei bastoni, che nulla avevano a che spartire con le canne da mosca,”inconsapevoli vittime delle mode e delle pubblicità,” nella vana ricerca della rapidità.
Perfezionai ulteriormente i finali che usavo, dato che sono molto importanti per presentare una qualsiasi mosca, non sempre gli viene dedicata la giusta attenzione, l’uso di una canna e una coda mediocre non influenzerà il risultato, mentre un finale approssimativo lo influenzerà sempre negativamente.
Voglio sottolineare l’importanza di questo accessorio, il più delle volte determinante per il successo di un buon lancio, di qualunque tipo esso sia.
Nella costruzione degli artificiali iniziarono a farsi strada in me alcune teorie talmente innovative, tuttavia supportate da un” ragionamento logico impeccabile ed indiscutibile”, da stravolgere completamente il concetto così come è stato portato avanti fino ad oggi, non tanto sui dressing quanto su certi materiali dalle caratteristiche particolari, sapientemente miscelati tra loro e molto attrattivi per la trota.
Riuscii ad ideare un artificiale emergente da schiusa, e un tipo di presentazione da azzerare quasi totalmente i rifiuti.
Anche questo risultato da me raggiunto, capovolge tutto quello che fino ad oggi, è stato portato avanti da tutti gli altri.
(Data l’ampiezza delle argomentazioni, l’argomento verrà trattato in seguito).
I risultati in pesca di questo decennio hanno dell’eccezionale, tra le tante catture spicca particolarmente una fario femmina sterile di sessantacinque centimetri per tre chili seicentocinquanta di peso.
Questo mio pellegrinare lungo i torrenti di tutta Italia aveva comunque dato i suoi frutti , quando trovavo una gola in fondo alla quale scorreva un fiume e la reputavo abbastanza inaccessibile, mi ci buttavo a capo fitto, supportato da uno spirito d’avventura smisurato e da una prestanza fisica eccezionale.
In questo modo riuscii a trovare dei luoghi veramente validi, dove in qualcuno di essi ancora oggi potrebbe succedere che qualche trota possa morire di vecchiaia (incredibile ma vero), dove non vengono effettuati ripopolamenti e le trote sono tutte autoctone.
Frequentare questi luoghi è magico, poi ti può sempre capitare di avere in canna la trota della tua vita, quella che non scorderai più.”CERTI POSTI NON Lì RIVELEREI NEANCHE SOTTO TORTURA”
SIA BEN CHIARO CHE:
I PARADISI DI’ PESCA NON SONO QUELLI RECLAMIZZATI DOVE VANNO TUTTI, COME ARRIVI TI METTONO UNA BELLA TROTA IN MANO E TI FANNO UNA FOTOGRAFIA COME RICORDO, I RIPOPOLAMENTI, COSPIQUI CON TROTE IRIDEE O FARIO ALLEVATE APPOSITAMENTE IN MODO CHE NON SI ROVININO LE PINNE, MA GLI SCONOSCIUTI DOVE NON VA NESSUNO.
Chi la pensasse diversamente è liberissimo di farlo, è indubbia in questo caso una notevole caduta dei valori che da sempre contraddistinguono questo sport.
A tale proposito voglio raccontare due episodi che ho vissuto in prima persona.
Non sono gli unici, ma i più significativi.
Con questo non voglio fare di tutta un’erba un fascio, augurandomi l’assoluta sporadicità dei casi.
Il primo si è verificato nella riserva NO KILL sul fiume Volturno nei pressi di Colli.
Passando da quelle parti, mi fermai sul primo ponte che si incontra scendendo verso valle prima dell’abitato, era Aprile e saranno state le dieci.
Posteggiai nello spiazzo che c’è subito dopo, mi avvicinai affacciandomi per dare una occhiata, nel frattempo giunsero due pescatori , chiaramente con la mosca, vestiti ed attrezzati con quanto di più moderno e caro si potesse trovare in quegli anni, avevano in mano mezza fila di pane e iniziarono a gettare dei piccoli fiocchi di mollica in acqua, con somma gioia delle trote copiose in quel punto che li prendevano avidamente.
Ero a un metro da loro, uno mi rivolse la parola dicendo”diamo da mangiare alle trote” e avvicinatosi ulteriormente, inconsapevole che fossi anche io un pescatore, sottovoce disse: noi mettiamo un pezzetto di spugna bianca sul’amo e ci divertiamo come matti.
Mi allontanai mettendomi le mani tra i capelli, il tizio ci rimase molto male , borbotto qualcosa, forse si era reso conto di aver fatto una cavolata, in quell’attimo anche l’aria di quel posto mi dava fastidio, mi allontanai il più velocemente possibile, se fossi restato non so cosa poteva succedere.
Il secondo e successo in val Sesia, nell’omonima riserva poco a valle di Balmuccia, fine ottobre, ero li per i temoli, in questo periodo i pescatori sono molti, così succede spesso di pescare vicini ad altri, generalmente in queste condizioni ci si ferma in un posto che piace e si tentano i pesci presenti.
Alla mia destra c’èra un signore molto distinto, accompagnato da un uomo che portava a tracolla un cestino di vimini, seppi poi che era il suo maggiordomo, dopo due ore di tentativi infruttuosi lo vidi rovistare sotto i sassi del greto, mi avvicinai, le manovre fatte non mi convincevano più di tanto.
Con molta gentilezza chiesi cosa stesse facendo, altrettanto gentilmente mi spiegò che quando aveva presentato tutte le mosche che aveva era solito infilare delle ninfe vere sul nudo amo, lanciandole dolcemente con dei rollè.
Anche in questo caso mi allontanai il più velocemente possibile, per non scaraventarlo in acqua in presenza di testimoni, se fosse stato solo lo avrei fatto di sicuro.
MI ALLONTANAI PER SEMPRE E DEFINITIVAMENTE DA TUTTO CIO’CHE VENIVA CHAMATO RISERVA.
Dove ho catturato questa Fario di quasi 70cm non lo rivelerei neanche sotto tortura |
Ragionando tra me e me cercai di dare una spiegazione a questi fatti, la più plausibile che trovai fu che per pescare in una riserva si debba sborsare il costo di un permesso.
Per questo motivo qualcuno vuol divertirsi ad ogni costo, la parola “ETICA”in molti casi è del tutto sconosciuta.
Nel decennio 1985-1995 furono gli anni delle consapevolezza, e del perfezionamento di tutte le conoscenze acquisite in precedenza, le tecniche da me usate, secca, ninfa, sommersa e streamer diventarono talmente familiari che il passaggio da una all’altra avveniva in modo automatico, secondo le necessità del momento.
La pignoleria e l’attenzione ai più piccoli particolari che fanno parte del sistema diventarono quasi un’ossessione, presi singolarmente possono essere insignificanti , ma messi tutti insieme non lo sono affatto, questo concetto andrebbe ampliato per renderlo più chiaro, lo faremo in futuro.
La mia convinzione è che per essere dei pescatori con la mosca veramente completi, sia necessario conoscere e praticare tutti i sistemi che questa consente.
Non per voler catturare ad ogni costo, come qualcuno potrebbe sostenere, ma solo per arricchire e completare.
Lungo un qualsiasi fiume, in ogni condizione esso si trovi, a meno che non sia troppo torbido, si saprà sempre come affrontarlo al meglio.
La sportività è insita nell’uomo, non nel sistema che pratica, chi la pensa diversamente ha torto marcio, non vorrei che si comportasse come la volpe con l’uva, non riuscendo a prenderla, perché troppo in alto, diceva che tanto non era buona.
E’ chiaro che il lancio è alla base, ha un’importanza fondamentale, padroneggiarlo perfettamente consente di risolvere molti problemi, sia nella distanza che nei particolari.
Nella scala dei valori lo metterei al secondo posto, al primo c’è il finale, che è più importante.
Diventare degli ottimi lanciatori richiede un notevole sacrificio, stendere dieci metri di coda è una cosa relativamente semplice, è andare oltre i quindici che diventa difficile, ci si deve allenare, molte volte non basta, cercare di migliorarsi è imperativo .
Padroneggiare una coda presuppone anche di saperla lanciare a grande distanza, molti diranno che in pesca generalmente non serve andare lontanissimo, sono d’accordo, ma posso asserire che chi sa lanciare una coda del cinque a venticinque metri, a venti sarà più o meno preciso, a quindici più che preciso, a dieci diventa micidiale anche nei lanci particolari.
Esistono corsi per principianti e corsi di perfezionamento, tenuti dai vari club con i loro istruttori, hanno molti meriti, aiutano a diffondere il sistema, l’importante è che siano fatti da persone giuste che presentino la cosa nel modo più semplice possibile (un sistema cosi complesso all’inizio può anche spaventare).
1985. Torrente Aveto (GE). Leggero richiamo delle coda in un lancio agolato, che crea un rimbalzo della mosca verso il basso, facendola toccare per prima. |